In un mio viaggio in Turchia mi sono resa conto di come in questo paese i gatti siano amati e rispettati. Sono animali bellissimi ospitati ovunque, nei bazar, nei ristoranti sempre con cura.
C’è una moschea ad Istanbul, che nei mesi invernale apre le porte ai gatti per dar loro rifugio dai rigori invernali. A prendere questa decisione è stato l’imam Mustafa Efe, che ha così spiegato la sua iniziativa: “I mici hanno trovato la casa della compassione e della misericordia”. I gatti, da parte loro, non hanno avuto troppi problemi ad adattarsi alla nuova situazione e non è infrequente osservarli dedicarsi alla loro attività preferita – la toilette – mentre intorno i fedeli pregano. Altrettanta compassione non sembra regnare, duemila chilometri ad ovest, sulle sponde del Tevere, dove di recente animali in cattività sono stati costretti ad esibirsi, con il beneplacito delle autorità religiose, per migranti, profughi e clochard. Un tentativo estremo di legittimare strutture di cattività sempre più invise ai cittadini e per questo protese verso iniziative eclatanti che possano rendere popolare la propria immagine. Questa volta tra Roma e l’antica Bisanzio non c’è partita.
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