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Un male non necessario: le menzogne della vivisezione

01/02/2012

L’uomo è veramente l?animale più evoluto? Forse dovremmo chiederci questo se riflettessimo, neanche troppo approfonditamente, sulle atrocità che l?animale uomo è capace di commettere: le guerre, le dittature, l?inquinamento, la bomba atomica… e la sperimentazione animale. “Sperimentazione animale” è un?espressione che non spiega immediatamente quello che comporta e non rende conto istantaneamente dell’atrocità che essa maschera. Il termine sinonimo di “sperimentazione animale” è infatti “vivisezione”, “sezionare animali vivi”. Esplicitarne il significato fa decisamente un altro effetto. Non è un caso che i vivisezionisti parlino di sperimentazione animale e invece coloro che si oppongono a questa pratica utilizzino l?espressione vivisezione. Quest’ultima, infatti, oltre a fare riferimento alle pratiche impiegate nei secoli precedenti, in particolare alle metodologie di studio caratteristiche del XIX secolo, oggi assume una connotazione particolarmente negativa che implica tortura, violenza e morte.
Al di là della scelta terminologica, è importante, prima di tutto, calarsi nel concreto e chiedersi se la vivisezione sia assolutamente necessaria per il genere umano e in caso lo fosse, se l?uomo possa veramente arrogarsi il diritto di fare di tutti gli esseri che lo circondano ciò che vuole senza il minimo scrupolo. Per capire “da che parte si voglia stare” è assolutamente fondamentale essere informati su ciò che la vivisezione comporta, gli ambiti in cui essa viene impiegata e il dibattito fra coloro che sono contro e chi è a favore, sia dal punto di vista etico che scientifico.
Teatro degli esperimenti sono migliaia di laboratori in tutto il mondo con il coinvolgimento sia del settore privato che pubblico: l’uno attraverso le industrie chimico-farmaceutiche, l’altro per mezzo della ricerca universitaria. La maggior parte degli animali utilizzati è composta da roditori (ratti e topi), ma vengono anche impiegati cavie, cani, gatti, conigli, primati, suini etc…
La vivisezione è un metodo di studio per la ricerca medica di base, la chirurgia, la tossicologia, la cosmesi, la psicologia, la didattica e lo studio degli armamenti. Comune a tutti questi campi è la motivazione per la quale si ricorre a questa pratica: effettuare esperimenti sugli animali al fine di capire se un?operazione, un farmaco, un prodotto cosmetico, una sostanza siano applicabili e sicuri anche per l’uomo. Paradossalmente, solo una piccolissima parte della sperimentazione in vivo è finalizzata alla cura degli animali stessi.
Nell’ambito specifico della ricerca medica vengono utilizzati anche animali transgenici, al fine di produrre un numero illimitato di oggetti di studio sui quali replicare mutazioni ben definite che riproducano malattie umane: si fa in modo, insomma, che gli animali contraggano AIDS, artriti, diabete, cancro perché gli uomini capiscano come curarle o non contrarle.
Nel campo della cosmesi, la sperimentazione animale è prevista dalla direttiva 76/768/CEE del 27 Settembre 1976 che ha stabilito di sottoporre i nuovi ingredienti a test rigorosi sugli animali al fine di tutelare i consumatori – ovviamente umani. Le aziende che vogliono utilizzare nuovi ingredienti per le loro produzioni, dovranno fornirne il profilo tossicologico, per mezzo di test sugli animali, come richiesto dalla direttiva. Da molti anni si cerca, anche da parte di alcuni membri del parlamento europeo, di far approvare dal consiglio dell’Unione l?abolizione totale delle sperimentazioni sugli animali nel campo della cosmetica, sottolineando l’esistenza di modalità alternative altrettanto valide. Esiste anche una positive list contenente i componenti definiti „sicuri?, per i quali non sono necessari ulteriori test di tossicità.
Per comprendere meglio ciò di cui si sta parlando, basta descrivere alcuni fra i test maggiormente utilizzati: il Draize-Eye-Test prevede l’applicazione di lacche, deodoranti e simili direttamente nell’occhio del coniglio, in dose fissa 0,1 ml, al fine di osservare la graduale azione da questi provocata (da una irritazione, alla necrosi dell’occhio); il Draize-Skin-Test prevede l?utilizzo di animali (di solito cavie o conigli), ai quali viene applicata in punti particolarmente sensibili, per mezzo di una garza, la sostanza da analizzare, lasciandola poi agire per 24 ore: allo scadere del tempo viene osservata l?entità del danno provocato: edema, eritema, necrosi, etc; il test chiamato DL50% (significa “dose letale al 50% degli animali utilizzati”) prevede la somministrazione di una sostanza a un gruppo di animali sino alla morte della metà dei soggetti in esame. Va aggiunto che, in campo cosmetico, la maggior parte dei prodotti in commercio è poco o nulla tossica e la maggior parte degli animali coinvolti muore per cause estranee alla reale tossicità dei prodotti, per esempio per il deterioramento di alcuni organi vitali o a causa di arresti cardiaci. Come stupirsene se si tiene conto del fatto che tutto questo avviene senza che l?animale sia stato anestetizzato?
Un’altra direttiva che vuole tutelare la “salute pubblica” è la 92/32/CEE, in tema di studi tossicologici: ancora una volta vengono richiesti approfonditi studi chimici, fisici e tossicologici eseguiti su animali. In psicologia si vogliono invece indagare la meccanica del cervello e determinati aspetti del comportamento o riprodurre malattie mentali umane. Fra i metodi utilizzati si possono citare l’uso di elettricità per provocare scosse, l’eliminazione chirurgica dell’olfatto, l’asportazione dei bulbi oculari e rimozione di parti della corteccia cerebrale.
Un altro campo che sfrutta la sperimentazione animale è quello legato allo studio degli armamenti, portato avanti nei laboratori militari. Le poche notizie che ogni tanto appaiono su qualche testata al riguardo rendono l?idea del massiccio impiego di animali che si fa in questo settore: bombardamenti batteriologici, come successe nel 1942 da parte dei britannici con un gruppo di pecore; irroramento di scimmie Rhesus con gas nervino (1979); studio dell’effetto di nuove armi e proiettili sulle di scimmie (1989); avvelenamenti al cianuro su cani, etc. Nel 1990 il Comitato Americano dei Medici denunciò il “sacrificio” di oltre 500mila animali all’anno per scopi militari.
I dati riguardanti la sperimentazione animale in Italia vengono pubblicati ogni tre anni sulla Gazzetta Ufficiale, a differenza della Gran Bretagna, che da oltre un secolo pubblica annualmente statistiche abbastanza affidabili e dettagliate. Si possono citare, a questo proposito, alcuni numeri: nel triennio 2007-2009 in Italia 1.275.433 animali sono stati usati per la ricerca di base; 618.746 animali nella ricerca e sviluppo di farmaci; 320.410 animali nei test obbligatori per legge per i farmaci; 197.595 animali per i test di tossicità; 75.640 animali per la diagnosi di malattie; 63.478 animali per i test obbligatori per la produzione di farmaci o a uso veterinario; 49.546 animali usati per „altro?; 1.925 animali per la didattica. Ogni anno circa 12-13 milioni vengono impiegati per la sperimentazione nella Comunità Europea, 15-20 milioni solo nelle università statunitensi, per non parlare delle industrie che utilizzano molti animali di cui nulla è dato sapere.
Il dibattito fra vivisezionisti e antivivisezionisti è da tempo in atto e tocca argomentazioni sia etiche che scientifiche. Dai vivisezionisti gli animali sono visti unicamente come modelli sperimentali: la funzione primaria dei test è scoprire i meccanismi causali della patologia per estendere, per analogia, i risultati agli uomini. Si tratta chiaramente di una teoria basata sulla presunta somiglianza tra la struttura fisica e biochimica dell’essere umano e degli animali.
Coloro che appoggiano questa visione sottolineano il ruolo fondamentale che hanno avuto i test su animali in larga parte delle scoperte mediche dell’ultimo secolo: i vaccini, gli antibiotici, gli anestetici sarebbero la principale causa dell’allungamento della vita media dell’uomo. La ricerca su modelli animali, insomma, è giustificabile in quanto guidata da aspirazioni nobili. In aggiunta a questo, i vivisezionisti cercano di lavarsi la coscienza sottolineando come gli animali non soffrano particolarmente perché non dotati dell’apprensione proveniente dal ricordo del dolore. Le tesi antivivisezioniste ben riescono a contrastare quelle che, a prima vista, potrebbero sembrare ad alcuni “nobili aspirazioni? o sacrifici giustificabili con il fine più alto del “bene dell’umanità?. Esistono associazioni, come il Comitato Scientifico Antivivisezionista e la Lega Internazionale Medici per l?Abolizione della Vivisezione, che contestano sul piano scientifico ed etico la sperimentazione animale: la vivisezione, affermano, va abolita perché è dannosa per la nostra specie: dalla sperimentazione in vivo l?essere umano non può trarre alcun vantaggio perché il “modello animale è simile, ma non uguale, al modello umano”. Per questo motivo, i risultati dei test sugli animali non potranno mai rappresentare una garanzia per gli esseri umani che, in moltissimi casi, hanno dimostrato di avere reazioni del tutto diverse da quelle animali. La dimostrazione della diversità fra modello umano e animale può essere dimostrata citando i casi più svariati: moltissimi farmaci o principi attivi tossici nell’animale non lo sono sull’uomo e viceversa. Uno degli esempi più eclatanti è quello legato al caso del talidomide, un tranquillante prodotto negli anni ’50 – ’60 dalla ditta tedesca Chemie Grünenthal: si scoprì, quando ormai era troppo tardi, che questo farmaco provocava difetti congeniti nei feti. Dopo ben tre anni di prove sugli animali, il farmaco fu causa della deformità di oltre 10mila neonati. Se la sperimentazione animale non fosse stata ritenuta del tutto attendibile, una tragedia di tali dimensioni si sarebbe certamente evitata, limitando a pochi casi il numero elevatissimo di vittime. I vivisezionisti giustificano questo disastro affermando che gli esperimenti non avevano tenuto conto del feto, tesi immediatamente smentita dalla stessa pratica sugli animali che, lungi dall’arrestarsi, continuò per comprendere a fondo il caso: il farmaco fu testato su vari animali e continuò a dare risultati negativi. Solo dopo molto tempo e solo con l’utilizzo di una particolare razza di coniglio si ottenne una cucciolata deforme. Anche l’esempio della penicillina si rivela illuminante: è tossica per gli animali, ma benefica per l?uomo. La sua scoperta è legata al caso in cui Fleming si trovò a dover ricorrere a questa sostanza, non ancora del tutto sperimentata sugli animali, per salvare un paziente in gravissime condizioni. Se la sostanza fosse stata sperimentata sulle cavie, per esempio, sarebbe stata certamente scartata perché altamente tossica per quella specie.
Esistono poi casi di farmaci per cui si sono riscontrati effetti tossici negli animali ma che sono comunque stati commercializzati, questo perché l?approvazione alla vendita di un dato farmaco non è in alcun modo vincolata ai risultati di test sugli animali.
Ma allora perché proseguire con la sperimentazione in vivo?L?utilizzo stesso di animali transgenici al fine di creare modelli sperimentali più aderenti alla realtà, aggiungendo nel genoma dell’animale un gene umano, è dimostrazione dell’assenza di scientificità del modello animale per la ricerca sull’uomo. Esso rappresenta infatti la tacita ammissione che gli animali, essendo diversi dagli uomini, vanno „modificati? geneticamente per ottenere risultati più attendibili. Anche nella ricerca sul cancro i test si sono dimostrati un fattore di confusione nello sviluppo dell’immunoterapia: le tecniche che funzionano in laboratorio si dimostrano spesso deludenti nell’applicazione clinica. Un cancro sperimentale, indotto, è differente da un cancro che si sviluppi naturalmente e, ancora una volta, il modello animale è diverso dall’uomo e non ci può aiutare a predire con certezza la risposta di un organismo umano.
La psicologia tenta di studiare patologie psichiche sugli animali, ma una semplice riflessione può far capire l?assurdità dell’utilizzo della vivisezione in tale campo: chi può affermare, ad esempio, che un gatto sia preda di un?allucinazione? La risposta viene da sé. Non si tratta solo di diversità di modelli in questo caso, ma addirittura dell’impossibilità di ottenere una comunicazione qualitativamente valida, a parole, per comprendere ciò che l?animale sta vedendo o provando.
Alla luce di tutto questo, dopo aver appreso che esistono delle dimostrazioni concrete sull’inutilità di questa pratica, ci si potrebbe chiedere come mai si prosegua in questa direzione. La risposta è triste e scontata: interessi economici, carrierismo, inerzia scientifica. Basti pensare al numero di farmaci in commercio: i preparati attualmente in uso sono più di 150mila, ogni anno 15mila nuove combinazioni inondano il mercato e 12mila vengono eliminate. A un osservatore esterno che facesse una ricerca sullo stato di salute dell’umanità sulla base dell’uso e commercio farmaci a disposizione potremmo apparire come una popolazione in via d?estinzione! Dal punto di vista etico, gli antivivisezionisti affermano con forza che la vivisezione sia una violazione dei diritti degli animali. Tali diritti sono espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale, presentata a Bruxelles il 26 gennaio 1978. Se pensiamo a ciò che comporta la vivisezione, leggendo i quattordici articoli della Dichiarazione, ci possiamo facilmente accorgere di come sia in totale violazione della stessa.
Le femminucce sterilizzate si trovano invece meno stressate e sofferenti rispetto ai periodi di calore, andando anche in questo caso ad eliminare il rischio di tumori ad utero ed ovaie e riducendo drasticamente il rischio di fastidiose mastiti.
Ma non dovrebbero servire una legge o una dichiarazione per farci comprendere quanto sia crudele e ingiusta questa pratica. I metodi sostitutivi (o per meglio dire, scientifici) esistono. La ricerca clinica, per esempio, può adoperare lo studio diretto dei pazienti tramite moderni strumenti di analisi non invasivi. Anche l?epidemiologia e la statistica possono fornire un importante contributo, la prima occupandosi dello studio della frequenza e distribuzione delle patologie nella popolazione, l?altra trattando i dati numerici derivanti da gruppi di individui. Queste due discipline hanno permesso di riconoscere la maggior parte di fattori di rischio delle malattie cardiocircolatorie come l’ipertensione arteriosa, il fumo, il sovrappeso e l’ipercolesterolemia. Esiste anche la possibilità di ricorrere a biopsie e autopsie, colture cellulari, metodiche in vitro, sistemi artificiali che simulano parti del corpo umano, test molecolari, tecniche microscopiche avanzate, etc.
Le modalità di indagine sono davvero molteplici, ma esistono attualmente varie problematiche che le rendono poco applicabili: sia il settore pubblico che quello privato tendono a finanziare gli esperimenti sugli animali e la convalida di questi metodi innovativi non avviene a causa della resistenza al cambiamento e a metodi di valutazione troppo restrittivi e poco scientifici.
Alla luce di tutto questo, ci chiediamo se l?animale umano sia davvero così evoluto come si vanta di essere. Guardando le immagini di animali in gabbia, terrorizzati e intristiti da un?esistenza penosa, tornano in mente le descrizioni degli schiavi dell’antichità. Qual’è davvero la differenza, mi chiedo, fra l’uomo moderno che decide coscientemente di privare della libertà e della dignità un animale indifeso, e il commerciante di schiavi? Siamo sicuri che le frontiere etiche dell’umanità non possano ampliarsi e renderci veramente “umani”?
Siamo convinti che l?informazione sia il primo passo verso una nuova apertura e sensibilità e chissà che un giorno non parleremo di tutto questo come qualcosa di molto lontano che non ci riguardi più. Allora, senza nasconderci dietro una finta „saggezza?, potremo dire di essere veramente umani.

 Valeria Cattaneo Volontaria ENPA Onlus – Sezione di Brescia


Categorie: Animali e Cultura