Quando Papa Bergoglio scelse per il suo Pontificato il nome di Francesco, l’Enpa si rallegrò di tale decisione perché vide in essa il richiamo alla grande figura del Santo che insegnò ad amare uomini e animali con la medesima intensità, con la stessa dedizione. L’Enpa auspicò che tale gesto, dalla forte valenza simbolica, fosse il primo teso a pacificare tutti gli abitanti del creato.
Purtroppo non è stato così. Ad oggi infatti gli unici animali a cui il Papa ha rivolto la sua attenzione sono stati quelli dei circensi, quasi a legittimarne lo sfruttamento. Per non parlare delle infelici colombe “liberate” per morire. Poi, nelle ultime settimane, sono arrivate le parole su una presunta opposizione tra figli e animali, e quell’epiteto – “degrado culturale” – riferito nei giorni scorsi al sentimento per gli animali.
Alla base di questa deriva “animalofobica”, sembra resistere un pregiudizio simile a quello che nove secoli fa spinse Papa Gregorio ad autorizzare, nel nome di Dio, lo sterminio di tutti i gatti, considerati personificazione del demonio. Un pregiudizio in base al quale tra l’amore per gli uomini e quello per gli animali vi sarebbe una inconciliabile antinomia. Del resto, quando Papa Francesco sostiene che il “rapporto affettivo con gli animali è più facile, maggiormente programmabile. Un animale non è libero, mentre avere un figlio è una cosa complessa”, sembra affermare proprio questo. Senza considerare che, come confermano autorevoli ricercatori, chi ha a cuore gli esseri senzienti non umani tende ad avere lo stesso atteggiamento anche con i propri simili.
«Stilare opinabili graduatorie di merito per stabilire se sia più importante un bimbo o un cane, non ha alcun senso. In questo tipo di “esercizio” si dilettano soprattutto coloro i quali non hanno conoscenza né esperienza diretta di tale materia; gli animali non sono un surrogato degli uomini; chi prende con sé un cane o un gatto, lo fa non perché è un modo di sentirsi diversamente genitore, di sentirsi padre o madre part time. Lo fa per un impulso di amore, di protezione, di accoglienza», spiega l’Enpa. «E come tutte le relazioni, anche quella con gli animali richiede impegno e responsabilità – prosegue l’Enpa –. Con un’unica grande differenza: cani e gatti parlano una lingua diversa dalla nostra, che noi dobbiamo imparare ogni giorno a comprendere. In tutto ciò non c’è nulla di programmato né di programmabile. Amare un animale significa imparare ad amare qualcuno diverso da noi, proprio come prescrivono le Sacre Scritture.»
Categorie: Curiosità
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