Per vederlo realizzato dovremo attendere il 2030, ben 7 anni perchè l’accordo raggiunto dall’Onu per la protezione dell’Alto mare (lo spazio marino che si estende oltre le acque territoriali), sia operativo. Il Trattato si propone di tutelare un ecosistema che produce metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresenta il 95% della biosfera terrestre e assorbe anidride carbonica come nessun altro bacino sulla terra.
All’accordo hanno aderito Ue, Usa, Gb e Cina appoggiando la protezione di un terzo dei mari ed è stato formalizzato il quadro giuridico per istituire zone marine protette e prevista una conferenza delle parti (Cop) che si riunirà periodicamente per discutere di biodiversità e governance. L’accordo riguarda quasi i due terzi degli oceani oltre le acque territoriali dei Paesi. L’Alto Mara fa parte delle acque internazionali, quindi al di fuori delle giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca, per esempio. Allo stesso tempo, l’Alto Mare svolge un ruolo vitale nel sostenere le attività di pesca, nel fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica.
Finora nessun governo si è assunto la responsabilità della protezione e della gestione sostenibile delle risorse di Alto Mare, il che rende queste zone vulnerabili. Di conseguenza, alcuni degli ecosistemi più importanti del pianeta sono a rischio, con conseguente perdita di biodiversità e habitat. Secondo le stime, tra il 10% e il 15% delle specie marine è già a rischio estinzione.
La presidente della conferenza Rena Lee annunciando il raggiungimento dell’accordo ha sottolineato che i delegati dei Paesi si incontreranno quanto prima per adottare formalmente il testo che non può essere rinegoziato.
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