Sebbene sia fallita la prima missione “cattura randagi” voluta dall’Asl Napoli 3 Sud per accalappiare i cani degli scavi di Pompei (Napoli), divenuti capro espiatorio del degrado dell’area archeologica, non si fermano le proteste di chi di quegli animali si è preso cura finora. Ieri mattina gli operatori incaricati si sono presentati alle 6 davanti agli ingressi del sito archeologico ma non hanno trovato nemmeno uno degli animali sotto accusa. L’informazione in possesso degli accalappiacani era che i cani uscissero dagli scavi nel pomeriggio per rientrare ogni mattina. Il piano, quindi, era quello di bloccare i cani prima che facessero ingresso nel sito archeologico. Ma, non avendo trovato nessuna dei cani segnalati, gli accalappiacani sono tornati alla loro sede con i furgoni vuoti e l’operazione, secondo fonti del Comune di Pompei, è stata rinviata a data da destinarsi. Quanto all’ingresso di cani al seguito dei visitatori, la Soprintendenza stabilisce che è possibile portare un cane di piccola taglia rigorosamente al guinzaglio. Ma la questione resta ancora aperta.
I cani che vivono nel sito archeologico degli scavi di Pompei costituiscono una presenza consueta, da alcuni anni sicura dal punto di vista sanitario, e non sgradita agli stessi visitatori, i quali colgono il richiamo al celebre mosaico della casa di Meleagro, “Cave canem”. E’ quanto scrivono le associazioni Enpa, Lav e Lega del Cane in una lettera-appello con cui chiedono al Ministro dei Beni e della Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, di intervenire a sostegno dei cani di Pompei.
«Apprendiamo con sconcerto della disposizione impartita dalla Asl di Pompei avente come finalità l’accalappiamento dei cani presenti nell’area archeologica», si legge nella missiva inviata dalle associazioni animaliste, che proseguono: «sconcerto dovuto anche al fatto che nel 2010 abbiamo promosso, d’intesa con gli allora responsabili dell’Area, il progetto “Cave Canem” che ha permesso di identificare, microchippare, condurre accurati controlli sanitari e sterilizzare i cani presenti nell’area. Molti dei quali, proprio grazie a questa iniziativa, hanno trovato una famiglia.»
Gli animali che invece sono rimasti nell’area degli scavi sono diventati “di casa”, svolgendo anche una preziosa funzione di presidio del territorio, soprattutto nei confronti dell’endemico randagismo locale. Pertanto, allontanare dal parco archeologico i cani di Pompei vorrebbe dire strapparli alle loro radici per condannarli ad un incerto futuro in canile – il che è assolutamente inaccettabile da un punto di vista etico -, ma sarebbe anche una decisione controproducente perché priverebbe gli scavi di una presenza apprezzata dagli stessi turisti e vanificherebbe un progetto che ha ottenuto ottimi risultati, apprezzati in Italia come all’estero. Oltre a comportare un inutile dispendio di risorse pubbliche, spesa di molto superiore ai fondi impiegati nelle positive attività di qualche anno fa, di cui in questo momento il nostro Paese non ha proprio bisogno.
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