In Giappone non c’è solo Taiji, la “baia della morte” dove ogni anno migliaia di cetacei vengono catturati e massacrati barbaramente mentre i delfini più piccoli sono scelti, proprio in queste circostanze dai mercanti internazionali, per rifornire le strutture di cattività in tutto il mondo. C’è anche l’isola di Toshima dove i cetacei vengono accolti, rispettati e protetti dagli stessi abitanti. Un vero e proprio santuario, insomma.
La “favola” di Toshima è iniziata nel 1995 quando un delfino, Koko, si insediò proprio nelle acque intorno all’isola situata a 100 chilometri dalla capitale giapponese, Tokyo. Tre anni più tardi Koko diede alla luce un cucciolo, Piko. Madre e figlio erano a tal punto benvoluti e rispettati dagli abitanti di Toshima da vedersi riconosciuto lo status di cittadini. Negli anni seguenti la popolazione di delfini residenti crebbe fino a raggiungere i sedici esemplari, che anche oggi nuotano liberamente nelle acque dell’isola senza correre il rischio di essere in alcun modo uccisi o catturati.
«In un Paese che perseguita i cetacei, non solo i delfini ma anche le balene, quello che sta accadendo a Toshima è semplicemente meraviglioso – commenta Ilaria Ferri, direttore scientifico dell’Enpa -. Gli abitanti di questa piccola isola del Pacifico stanno svolgendo una funzione educativa fondamentale per l’intero Giappone perché mostrano ai loro connazionali quanto sia importante, ai fini della tutela delle biodiversità, convivere con i delfini e tutti gli altri cetacei permettendo loro vivere in libertà e proteggendoli dagli arpioni dei cacciatori e dagli avidi mercanti internazionali. Sono queste le iniziative che la comunità internazionale deve promuovere e sostenere a ogni livello: il mare e i suoi abitanti non sono proprietà dell’uomo, non sono risorse da sfruttare. Ne va della sopravvivenza di tutto il l’ecosistema marino e di milioni di esseri senzienti, compresa la nostra».
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