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L'India dice no ai delfinari. accolto l'appello delle associazioni e dell'Enpa: una vittoria importantissima, altri paesi seguano l'esempio

09/05/2013

«Non autorizzeremo la costruzione di delfinari in India». Con queste parole il Ministro indiano dell’Ambiente e delle Foreste, Jayanthi Natarajan, raccogliendo l’appello lanciato dall’Enpa e da altre associazioni animaliste internazionali, ha preso posizione contro lo sfruttamento di delfini e cetacei da parte dell’industria del divertimento. Sfruttamento peraltro vietato sia dalla legge indiana contro la crudeltà sugli animali (prevention of Cruelty to Animals Act) sia dalla normativa per la protezione della fauna selvatica (Wildlife Protection Act).
«La presa di posizione del governo indiano è un’ottima notizia – commenta il direttore scientifico dell’Enpa, Ilaria Ferri -. Nelle settimane passate avevamo chiesto all’esecutivo di Nuova Delhi di opporsi alla costruzione dei delfinari, evidenziando come delfini e balene, animali estremamente intelligenti abituati a vivere in libertà all’interno di gruppi con relazioni familiari molto strette, fossero inadatti alla vita in cattività, che per loro rappresenta una vera condanna a morte».
Al punto che nei primi anni di privazione della libertà molti degli animali detenuti nei delfinari muoiono a causa dello stress e dello shock causati proprio dalla detenzione e dalle grevi deprivazioni, e anche gli esemplari nati in cattività mostrano i segni di una profonda alterazione comportamentale, caratterizzata da moti di aggressività e da un comportamento ripetitivo, perché forzati a vivere in un ambiente artificiale, ad eseguire “esercizi” per loro innaturali, ad interagire con gli uomini secondo un pattern relazionale monotono e meccanico.
L’industria dell’intrattenimento, invece, cerca di far passare l’idea secondo cui la cattività dei cetacei avrebbe finalità educative e che gli stessi animali sarebbero “felici” di vivere in un ambiente così artefatto, di interagire con l’uomo e di eseguire tali esercizi. «Tuttavia – prosegue Ferri – è evidente che ciò non ha nulla a che vedere né con una presunta conservazione delle specie né con un’altrettanto presunta mission formativa, poiché gli animali sono privati della possibilità di comportarsi secondo le caratteristiche etologiche della loro specie, sono obbligati ad alterare i propri istinti, oltre a subire un percorso di addestramento basato sulla deprivazione alimentare e sulla paura».
«Il governo indiano ha mostrato che si può dire di no alla cattività – conclude il direttore scientifico dell’Enpa -. Naturalmente auspichiamo che altri Paesi, primo fra tutti il nostro, seguano l’esempio dell’India per garantire diritti fondamentali ai cetacei: la libertà».


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