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Giornata mondiale degli Oceani, impegnamoci tutti per salvarli

08/06/2013

Oggi, 8 giugno, è la Giornata mondiale degli Oceani. Un’occasione per prendere coscienza che i nostri mari sono in grande sofferenza, che in Europa il 60 per cento delle risorse ittiche studiate è sovrasfruttato e che nel Mediterraneo e nel Mar Nero la situazione è ancora più allarmante: l’88 per cento degli stock di cui è stata effettuata una valutazione soffre di pesca eccessiva.
L’Enpa, che per il quarto anno consecutivo è impegnata nella Campagna “Salviamo il Mare”, presenta alcune azioni fondamentali per proteggere i mari del pianeta; azioni che rappresentano non un’opzione, ma una “conditio sine qua non” per la difesa del mare.
– Scegliere (almeno per alcuni giorni alla settimana) una dieta vegana-bio. Il 26% del Pianeta è “invaso” dagli allevamenti animali che ogni anno producono oltre 1500 miliardi di tonnellate di deiezioni, alle quali è imputabile l’emissione del 18% dei gas serra (i veicoli ne producono solo il 14%). I reflui degli allevamenti zootecnici e delle industrie, che contengono nitriti, nitrati, fosforo, azoto e metalli pesanti rappresentano una pericolosissima minaccia per i mari. L’agricoltura e gli allevamenti che prevedono l’ uso di fertilizzanti chimici, erbicidi e di altre sostanze, favoriscono la proliferazione eccessiva delle alghe e delle piante acquatiche causando il fenomeno dell’eutrofizzazione. A ciò si aggiunga che i liquami, scaricati nel terreno e poi trasportati dai fiumi, inquinano le falde acquifere oppure sono riversati direttamente in mare. Si calcola che ogni anno solo il fiume Po riversi in mare 27milioni di tonnellate di sostanze tossiche, tra arsenico (244 tonn. annue), mercurio (65 tonn.), piombo (485 tonn. annue), tensioattivi (3.000 tonn.), idrocarburi (64.000 tonn.) ed altri composti organici (500.000 tonn).Cetacei, tonni e pesce spada – predatori all’apice della piramide alimentare e specie che bioaccumulano – sono tra gli animali più contaminati da queste sostanze xenobiotiche (estranee al mare). Alcuni di cetacei riescono a detossificarsi parzialmente (specie dai metalli pesanti), ma lo fanno attraverso l’allattamento, dunque contaminando le nuove generazioni.
– Fermare per sempre le reti pelagiche derivanti. Messe al bando dal primo gennaio del 2002 con il contestuale divieto all’impiego di attrezzi retieri per la pesca di tonni e pesce spada, continuano tuttora ad essere usate. Per i gravi atti di illegalità compiuti nel Mediterraneo soprattutto dai pescatoripelagiche_320x200 Italiani (che pure hanno beneficiato dei fondi per la riconversione dall’Ue), i quali proseguono indiscriminatamente la loro attività, i cittadini italiani dovranno pagare circa 10 milioni. Si tratta di una multa inflitta dalla Corte di Giustizia Europea che, visto l’annoso inadempimento dell’Italia alle procedure d’infrazione, ha condannato l’intero Paese a scontare le responsabilità di pochi; quei pochi che ogni anno uccidono oltre l’80% di specie ittiche accessorie e migliaia di cetacei, di uccelli marini e tartarughe, catturati con le reti illegali. Questa attività non si è mai fermata, nonostante le procedure e i fondi per la riconversione, per questo il 18 Giugno l’Enpa si recherà a Bruxelles per un incontro dedicato all’emergenza spadare nel quale consegnerà al Comissiario per la pesca Damanaki il dossier sulle illegalità che ancora avvengono nei nostri mari ai danni della biodiversità e dei contribuenti.
– Eliminare la plastica. Questo materiale, un derivato del petrolio, ha diverse forme molecolari ed è utilizzato per realizzare una infinita quantità di prodotti. L’UNEP (United Nations Enviroment Program) ha stimato che ogni anno circa 6.4 milioni di tonnellate di spazzatura finiscono in mare: la plastiche rappresentano una quota compresa tra il 60% e l’80% del totale. Sempre secondo l’UNEP per ogni metro quadro ci sono in mare tra i 13.000 e i 18.000 pezzi di plastica. La plastica crea danni gravissimi sia in modo diretto – gli animali la scambiano per cibo (l’ingestione causa soffocamento, blocchi intestinali e lesioni all’apparato digerente) – che indiretto per intrappolamento nelle fibre e filamenti di lenze e di reti abbandonate. Si calcola che ogni anno questo materiale “killer” causi la morte di circa 2 milioni di uccelli marini e di circa 100.000 mammiferi marini tra cetacei, pinnipedi (foche, otarie e trichechi) e sirenidi (lamantini e dugonghi).
– Proteggere il mare dal petrolio. Secondo la Us Enviromental Agency ogni anno finiscono in mare 2.672.210.000 litri di petrolio. Il 60% del commercio mondiale del petrolio e dei suoi derivati passa per il Mar Mediterraneo che però rappresenta solo lo 0,8% delle acque del Pianeta. Ciò significa che sulle coste del “Mare Nostrum” si concentra il 27% di tutta l’attività di raffinazione mondiale mentre le petroliere, con i loro 3000 viaggi l’anno, trasportano circa 400 milioni di tonnellate di greggio.
pellicano-petrolio-619_176964_981100_320x200I disastri, verificatisi non soltanto in Italia, dimostrano che non esiste una politica sinergica tra i Paesi del Mediterraneo, finalizzata a prendere tutte le precauzioni possibili per evitare incidenti che causano irreparabili danni all’ambiente marino. Secondo il REMPEC (Regional Marine Pollution Emergency Response Center for the Mediterranean Sea) solo nel Mediterraneo tra il 1990 e il 1999 ci sono stati 250 incidenti (per altri 21 non è stato fornito alcun riscontro) e sono finiti in mare 22.150 tonnellate di petrolio.
Il greggio non crea danni solo al mare. Infatti, le sue particelle volatili possono viaggiare anche per molti chilometri depositandosi sul terreno ed entrando nella biomassa; quindi nella catena alimentare della terraferma.
– Ridurre e controllare il traffico marittimo. L’intenso e scarsamente regolato traffico marittimo è causa diretta della morte dei più grandi abitanti del mare, balene e capodogli. I ricercatori lanciano un grido d’allarme: Simone Panigada dell’Istituto Tethys ha rilevato che da un campione formato da 283 balenottere comuni spiaggiate (prevalentemente negli ultimi 40 anni), 44 individui (pari al 15,5% del totale) sono stati uccisi a causa di un incidente con un natante. Le imbarcazioni interessate sono traghetti e traghetti super veloci. L’ 85% delle collisioni sono avvenute nelle acque del Santuario dei Cetacei; un santuario che rimane una delle aree a maggiore traffico marittimo.
– Ridurre le aggressioni acustiche in mare. I sonar a bassa frequenza, usati dalle marinerie militari per le operazioni segrete, determinano lo spiaggiamento di cetacei ma anche gravi danni rilevabili a vari livelli. Danni simili sono causati ai cetacei (ma anche ad altre specie) dagli effetti delle indagini per le prospezioni geosismiche, effettuate con lo scopo di trivellare i nostri mari alla ricerca di petrolio.
– Ridurre l’aggressione alle coste e diminuire gli impatti antropici nelle aree ridosso dei nostri mari, dal punto di vista dei fenomeni urbanistici e di quelli legati alla concentrazione della presenza umana in alcune aree critiche. La riduzione della produzione dei rifiuti, la raccolta differenziata e il corretto recupero per lo smaltimento degli oli da cucina rappresenterebbero già delle azioni fondamentali per la tutela della biodiversità marina.
– Razionalizzare e ridurre i consumi globali a favore di una spesa alimentare sostenibile e biologica, sono quindi azioni necessarie a garantire una buona salute del mare.
– Fermare l’uso delle creme solari. Le creme ad alta protezione solare distruggono tutto l’ecosistema della barriera corallina. Un allarme proviene da uno studio del 2008 pubblicato su “Environmental Health Perspectives Journal” che evidenzia come ogni anno milioni di persone in ogni angolo delrimaniamo_connessi_all_acqua_8127_320x200 mare del pianeta utilizzino la protezione solare. Gli ingredienti contenuti nelle creme, infatti, possono distruggere la barriera corallina nel giro di pochi giorni. Secondo il dossier, a causa delle 4mila – 6mila tonn. di creme solari impiegate, ogni anno il 10% della barriera corallina del pianeta rischia progressivamente di scomparire.
– Riconsiderare le politiche sociali internazionali e pianificare investimenti nei Paesi poveri che si affacciano sul mare per consentire lo sviluppo di una corretta educazione per tutelare le biodiversità locali e per destinare risorse ad attività sostenibili capaci di produrre una nuova economia.


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