Il Giappone ha annunciato di aver arpionato e ucciso 177 balene al largo delle sue coste nordorientali durante il periodo di caccia di quest’anno, che come ogni anno solleva le proteste degli ambientalisti. Tre navi che hanno lasciato i porti a giugno sono tornate con 43 balenottere rostrate e 134 balenottere boreali, il numero concordato all’inizio della stagione.
Tokyo ha firmato la moratoria sulla caccia alle balene della Commissione baleniera internazionale, ma sfrutta una clausola che le permette di uccidere i cetacei per motivi scientifici. Gli studi sono “necessari per valutare il numero sostenibile di animali da uccidere per riprendere la caccia commerciale” ha detto all’Afp un funzionario dell’agenzia per la pesca nipponica, Kohei Ito.
La Commissione internazionale per la caccia alle balene dal 1946 si impegna per salvaguardare questa preziosa specie e l’ecosistema in cui vive ma, nonostante i più recenti e severi divieti, il Giappone continua a cacciarle usando una scappatoia impietosa: i fini scientifici. In tutto il resto del mondo si studiano i cetacei e il loro ecosistema senza ucciderli, ad esempio prelevando campioni di pelle (che normalmente mutano), grasso oppure materiale fecale, dal momento che le ricerche su esemplari morti avevano portato ad esigui ed irrilevanti risultati.
Dopo dodici anni di inseguimenti, speronamenti e battaglie legali, anche il gruppo Sea Shepherd ha abbandonato la sua campagna annuale di ostruzione delle baleniere giapponesi nei mari antartici. Motivo: una manifesta inferiorità tecnologica, aggravata dall’accusa ai «governi ostili» Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda di «essere in lega» con il Giappone, frenando le attività di protesta dell’organizzazione per i loro interessi economici.
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