Non ci si può fare una ragione per l’ingiusta sentenza emessa dal giudice del tribunale di Nuoro che ha concesso l’istituto della messa alla prova per 10 mesi all’allevatore di Irgoli di 44 anni che nell’aprile del 2014 provocò la morte del suo cane meticcio perché avrebbe infastidito le pecore del suo gregge: legato al gancio di traino della sua auto, dove l’uomo viaggiava con il figlio minorenne, l’animale venne trascinato sull’asfalto fino a provocarne la morte.
Affiancato dai servizi sociali, l’uomo si occuperà del verde pubblico nel comune di Loculi, a pochi chilometri dal suo paese, e sconterà così la pena. Il giudice ha fissato una nuova udienza per il 17 ottobre 2017: in quell’occasione verrà valutato il suo comportamento e se tutto andrà bene il reato potrà essere estinto. Soddisfatto il legale dell’allevatore.
“L’istituto della messa alla prova mira alla rieducazione e alla riabilitazione di chi ha commesso reati di questo tipo – spiega l’avvocato – Serve a far capire a chi sbaglia che si può riparare il danno con apporto fattivo. Il processo – ricorda il difensore – si era arenato nella precedente udienza sul risarcimento economico avanzato dagli animalisti. L’aspetto principale, invece – sottolinea – è la funzione riabilitativa della pena anche per chi non ha possibilità economica”.
Insorgono le associazioni degli animalisti che si aspettavano una sentenza esemplare. “La messa alla prova di questo individuo rappresenta per me una decisione incomprensibile e un pessimo segnale per tutta la collettività – attacca la presidente nazionale dell’Enpa Carla Rocchi – Siamo in presenza di un uomo che ha scientemente legato un altro essere vivente alla propria autovettura, che lo ha consapevolmente trascinato, vivo, sull’asfalto e che ha fermato la sua tragica corsa soltanto dopo essere stato inseguito dai Carabinieri. Non capisco proprio cos’altro avrebbe dovuto fare per meritarsi una condanna. Oggi purtroppo giustizia non è stata fatta”.
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