La fortuna del gatto possiamo dire che sia cominciata quando il suo cammino ha incrociato quello dell’uomo nelle pianure afro-asiatiche durante il periodo neolitico (
Ma torniamo al neolitico perché è adesso che nasce l’indissolubile sodalizio tra uomo e gatto, l’inizio di una amicizia che è arrivata fino a noi. In questo periodo, l’uomo dopo la caccia, comincia a dedicarsi all’agricoltura ricavandone abbondanti raccolti che custodisce e accumula anche per affrontare le carestie. Ma qualcuno minaccia il frutto di tanto lavoro: il topo.
E’ così che il gatto, acerrimo nemico dell’ingordo roditore, acquista un ruolo di prestigio che culmina in Egitto. La potenza del regno del faraone era basata sugli abbondanti raccolti nei fertili campi lungo il Nilo, raccolti che il gatto difendeva dai topi ricevendo in cambio dall’uomo un alloggio e la protezione da animali più grandi che potevano minacciarlo.
In poco tempo riuscì a farsi apprezzare anche dai sacerdoti divenendo così un animale sacro, una divinità come la Dea Bastet raffigurata con corpo umano e testa di gatto e Ra il dio del sole, che si aggirava tra i mortali con sembianze di gatto.
Dalle coste dell’Egitto, mercanti Macedoni e Fenici usi a far commercio di ogni tipo di animale, sfidando le ire dei locali, riuscirono a esportare prima in Grecia, poi a Roma il gatto.
In entrambe le civiltà il piccolo felino fu apprezzato per le sue forme ma non occupò un posto di rilievo come in Egitto. La sua bellezza e il suo fascino colpirono comunque l’animo di artisti e letterati.
In Grecia Erodoto, Aristofane e di Callimaco lo cantarono con senso favolistico ed estetico. A Roma, se Plinio lo descrive nelle “Storie Naturali” è addirittura l’imperatore Ottaviano Augusto che vede la sua gatta come la più intima delle amiche, una piccola divinità al pari dell’imperatore. Tranne queste liriche eccezioni, il gatto, che nel frattempo andava diffondendosi in tutta Europa, fu ben presto relegato a sostituto delle donnole impiegate nella caccia ai topi che avevano l’inconveniente di attaccare anche gli animali da cortile.
Si era chiusa per sempre l’età dell’oro del gatto e il peggio doveva ancora arrivare.
Nel XIII secolo, forse proprio il suo essere misterioso, indipendente, magneticamente affascinante, lo rese agli occhi di molti una creatura demoniaca da associare agli eretici e alla stregoneria. Anche la Chiesa riconobbe in lui una creatura del male. Papa Gregorio IX nel 1233 con la bolla Vox in Roma, indica il gatto nero come la reincarnazione di Satana. Nel 1484 Papa Innocenzo VIII, per non far torto a nessuno scomunicò tutti i gatti e decretò che quelli trovati in compagnia delle streghe venissero con queste bruciati. A causa di queste stragi, in breve tempo la popolazione felina rischiò scomparire e contemporaneamente aumentò in modo esponenziale quella dei topi, in particolare nelle città, dove fece la sua comparsa la peste che si diffuse in tutta Europa. Nelle campagne, tra i nobili e i ricchi proprietari terrieri, che vivevano meno l’influenza cattolica, il gatto fu accolto nelle case non solo per combattere i roditori ma anche per il puro piacere della sua compagnia. Trovò quieto rifugio anche nei conventi francescani che come il loro fondatore S. Francesco amarono in ugual modo tutti gli animali.
Bisogna arrivare al XVIII secolo, il Rinascimento, il Secolo dei Lumi perché i gatti possano riconquistare il rispetto e l’amore nella società e addirittura nella Chiesa. Possedere un gatto divenne un “must” nelle corti di tutta Europa, le dame si facevano ritrarre con i loro mici e gli artisti si lasciavano ispirare dal fascino felino per le loro opere. Grande amante dei gatti fu il cardinale Richelieu che se ne prendeva cura personalmente dando ad ognuno un nome e studiandone i diversi caratteri: Gazette, calma e discreta, Lucifero, il gatto nero, Lodoiska, la gatta polacca, Piramo e Thisbe, due gatti dolci e inseparabili, Sottomessa, Serpillo e Rubino.
Riconquistata la benevolenza degli ecclesiastici, il gatto torna ad essere dipinto nei quadri come animale da compagnia e trova un suo spazio anche nella pittura sacra.
Sarà proprio nella città cuore della Chiesa, Roma, che il gatto, nell’’800, si prenderà le sue rivincite. Addirittura Sua Santità Leone XII aveva cresciuto tra le pieghe delle sue vesti un piccolo gatto, nato in una delle Logge di Raffaello in Vaticano. Alla morte del Santo Padre, il gatto, probabilmente un soriano rosso, fu ereditato dall’Ambasciatore di Francia Francois Chateaubriand, grande letterato ma soprattutto grande amante dei gatti che di questo nei suoi scritti ci da notizia dicendo che chiamò quello che era conosciuto come il gatto del Papa, Micetto.
Ma in tutta la città i gatti erano amati tanto che nell’ ‘800 nasce la figura del “carniciarolo”, venditore di carne per cani ma in particolare di interiora per gatti. Fino ai primi anni del ‘900 fu il Comune di Roma a provvedere al mantenimento dei gatti di strada con abbondanti pasti a base di trippa poi, per le difficoltà economiche del Comune, l’allora Sindaco Ernesto Nathan, depennò dal bilancio la voce“trippa per i gatti” e così nacque il celebre detto “nun c’è trippa pe’ gatti”.
Categorie: Animali e Cultura
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