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Inchiesta doping palio di Asti: chieste condanne per 21 imputati, inclusi fantini del palio di Siena

17/09/2019

È rinviata al 28 novembre la sentenza in primo grado per 21 imputati, tra fantini e proprietari di cavalli trovati positivi al doping durante il palio di Asti del 2014. Il rinvio è stato disposto per accogliere la richiesta di replica da parte del PM della Procura Laura Deodato, dopo le dichiarazioni di innocenza della difesa. Ne dà notizia La Voce di Asti, che riporta la decisione presa il 12 settembre dal Giudice del Tribunale piemontese, Elisabetta Chinaglia.
Gli imputati, che rischiano una condanna in primo grado da 2 mesi e 20 giorni a 2 mesi.
I nomi degli imputati a molti non dicono nulla, ma che sono invece relativamente celebri nel circuito di “manifestazioni storiche”, la più nota delle quali è il Palio di Siena. Per fare qualche esempio, dal 2015 a oggi, a Siena, Dino Pes (noto come Velluto) corse una volta per il Leocorno; sei volte Valter Pusceddu (Bighino), sette corse per Giuseppe Zedde (Gingillo), quattro per Enrico Bruschelli (Bellocchio), ben dieci Luigi Bruschelli (Trecciolino). Anche Sebastiano Murtas (Grandine) si è reso più volte protagonista del palio di Siena, ad esempio nel 2016 quando il cavallo che montava (Reynard King) si fratturò la seconda falange dopo una brutta caduta. Quell’anno, a Siena, per onor di cronaca, vinse il fantino Jonathan Bartoletti, un fantino che nel 2013, proprio ad Asti, aveva frustato il cavallo Mamuthones al punto da provocare una violenta reazione di difesa: il cavallo si impennò, inciampò nel canapo, cadde violentemente a terra e morì.
A prescindere dal decorso dell’iter giudiziario di questo specifico caso, appare evidente un aspetto pratico e meno romantico della fiaba delle “tradizioni” legate al palio: dietro alle manifestazioni in cui vengono fatti correre i cavalli vi è una rete di addetti ai lavori (fantini, allenatori, proprietari) che viene ingaggiata da contrade e rioni di mezza Italia. Nessun senso di appartenenza alle radici storiche della singola città o manifestazione, ma soltanto il bisogno di far rendere un’attività economica che mette oggettivamente in pericolo la salute e la vita stessa dei cavalli usati.


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