Se lui la chiama “micia” e lei ricambia chiamandolo “passerotto”, ora dovonno sapere che questi teneri vezzeggiativi per qualcuno potrebbero essere ingiurie passibili di condanna.
La Corte di Cassazione ha infatti stabilito che l’accostamento uomo-animale è un reato.
Un 50enne di Castrovillari, Giuseppe V., aveva
dato del babbuino e barbagianni al suo vicino di casa, Leonardo B., colpevole, secondo lui, di voler costruire un’abitazione abusiva accanto alla sua casa.
Querelato dal vicino offeso, l’uomo era stato assolto dal giudice di Pace di Castrovillari per la particolare tenuità del fatto, ma il Tribunale si è invece pronunciato con una condanna per ingiuria.
Il ricorso in Cassazione del signor Giuseppe, con cui sosteneva che gli epiteti utilizzati non erano tali da offendere la dignità del querelante, è stato inutile.
La Corte ha respinto il ricorso e ha ribadito che gli epiteti evocativi di animali hanno una obiettiva valenza denigratoria. La V sezione penale, con sentenza n°44966, ha convalidato quindi una condanna per ingiuria nei confronti di Giuseppe, sentenziando: “Hanno una obiettiva valenza denigratoria in quanto, assimilando un essere umano ad un animale, ne negano qualsiasi dignità in un processo di reificazione e di assimilazione ad una ‘res’ comunemente ritenuta disgustosa o comunque di disumanizzazione.”
Dalla sentenza emerge un radicata quanto anacronistica convinzione antropocentrica: qualsiasi uomo, anche il peggiore, è superiore ad un animale, quindi l’assimilazione umano-animale è denigratoria. Ma per chi? Per gli animali!
Categorie: Curiosità
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